mercoledì 10 gennaio 2018
"Wonder", la diversità è bellezza
Era da tempo che non guardavo un film interessante, di quelli che rivedresti e che ti arrivano dritto al cuore. In questi giorni finalmente ne ho visto uno: Wonder, tratto dal bestseller omonimo di R.J. Palacio, con gli attori Jacob Tremblay, Julia Roberts e Owen Wilson. Il protagonista è Auggie, un bambino di 10 anni, affetto da una malattia rara, una malformazione cranio facciale che gli impedisce una vita normale e a causa della quale ha dovuto sottoporsi a 27 operazioni con cui hanno cercato di rendere il suo viso meno respingente. Il bambino è cresciuto in casa, dove la madre ha curato in prima persona e con amore materno la sua educazione, per preservarlo dalla reazione che avrebbero potuto avere gli altri bambini se avesse frequentato una scuola elementare normale. Ma la situazione cambia quando la mamma decide di fargli frequentare la prima media in una scuola pubblica insieme ai suoi coetanei. È proprio la scuola il banco di prova di Auggie: lì deve affrontare lo sguardo dei propri coetanei, che inizialmente lo deridono e lo isolano come se avesse una malattia contagiosa. Tra difficoltà, paure, delusioni e lacrime, il piccolo Auggie riesce ad integrarsi e a stringere delle amicizie con dei ragazzi che scoprono la sua bellezza interiore, che è più forte di quella esteriore. Nel film vengono affrontati temi attuali ed importanti come la diversità fisica, il bullismo, la ricerca della felicità e le insicurezze che vivono in tutti noi e che cerchiamo di nascondere agli altri, indossando una maschera per sfuggire al giudizio spesso cattivo di coloro che si fermano alle apparenze. Forse proprio l’apparenza è uno dei mali peggiori di questa società di selfisti, persone sempre in posa per scattare una foto da pubblicare sui social e quantificare il nostro gradimento agli altri in base al numero di “like” ricevuti. Mi chiedo dove sia finita la nostra essenza. Dovremmo coltivare uno sguardo curioso e pronto a cogliere l’invisibile all’esterno, senza aver timore di mostrarci come siamo, con le nostre debolezze, pregi e difetti. La diatriba tra apparire ed essere è il moderno dubbio amletico di coloro che non hanno più una propria identità fisica e culturale, omologandosi alla massa. Da qui nasce la non accettazione del diverso, di una persona che per razza, religione, orientamento sessuale o problemi fisici non è come noi. Viviamo in un mondo cinico e barbaro nel giudicare gli altri dalle semplici apparenze, senza cercare di entrare in empatia con il loro interiore. Il film è un elogio alla diversità, un arricchimento della nostra esperienza personale senza mai cadere nel pietismo di circostanze e nella retorica cinematografica, anzi utilizzando spesso dialoghi ironici. Riuscire a prendersi gioco di se stessi senza timori. Una riflessione sulla vita reale, che ormai è secondaria rispetto alla virtualità dove ci siamo persi. Ma nel film viene messa in evidenza soprattutto la forza interiore dei vari protagonisti, ognuno dei quali deve superare uno scoglio esistenziale che lo porterà al raggiungimento dei propri sogni. Per me questo è il profondo messaggio della trama: non arrendersi davanti alle difficoltà che incontriamo inevitabilmente nel cammino della nostra vita e trovare sempre la forza dentro di noi per guardare avanti, perché, come afferma il piccolo Auggie alla fine, “penso che ci dovrebbe essere una regola secondo la quale tutti nel mondo, dovrebbero avere una standing ovation almeno una volta nella loro vita’’. Possiamo essere soddisfatti della nostra esistenza misurando ciò che hai fatto con il tuo tempo, come hai scelto di trascorrere le tue giornate e di chi ti stai prendendo cura perché il coraggio, la gentilezza, l’amicizia ed il carattere sono le qualità che ci definiscono esseri umani. Il profondo messaggio del film è di non arrendersi davanti alle difficoltà che incontriamo nelle nostre vite
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